La spagnola: Storia dell’influenza che cambiò il mondo | Recensione

la spagnolaLa cosa bella di seguire blog in cui si parla di libri è che si ampliano a dismisura gli orizzonti sul panorama letterario mondiale presente e passato. Non troppo tempo fa Monique Namie ci ha presentato un saggio di Richard Collier che per tematica è molto vicino ai giorni nostri. Come dice lei stessa, se c’è chi già è sopraffatto dalla situazione attuale e non vuol più sentire parlare di pandemie, qualcun altro ha invece bisogno di approfondire. Intrigata dalla sua recensione e dalle citazioni che aveva riportato, non ci ho pensato più di tanto prima di acquistare anche io il libro di cui parleremo oggi.

Il lavoro di ricerca dell’autore, come menzionato nelle note finali al libro, è stato immenso e ha coinvolto diverse equipe di persone, nonché 1708 sopravvissuti che hanno fornito una diretta testimonianza. Per chi non lo sapesse, con “spagnola” venne denominata una pandemia influenzale che colpì il mondo tra il 1918 e il 1919, sul finire della Prima guerra mondiale. Il nome è dovuto al fatto che si pensava avesse avuto origine in Spagna. Un po’ come è successo con il coronavirus, che ha subito ricevuto l’appellativo di “virus cinese“. Fortunatamente per noi, gli esperti sono riusciti presto a localizzarlo e assegnargli un nome scientifico e neutro, SARS-CoV-2, da cui si origina la malattia COVID-19. Questa operazione, infatti, è di fondamentale importanza per evitare di stigmatizzare una certa nazione o popolo, attribuendogli tutta la colpa, pensando che semplicemente tagliando i ponti con loro il problema sia risolto, perché noi altri siamo tutti più “avanzati”, prontissimi e pensiamo sia impossibile che ci capiti la stessa cosa. Così facendo, facciamo solo un favore al virus che, ben prima che ce ne rendiamo conto, ha già attraversato qualsiasi confine e non fa distinzioni tra uno Stato e l’altro.

la spagnola

La paura di venire additati come colpevoli e subirne le conseguenze porta inizialmente alla negazione della realtà, concedendo un vantaggio ancora più grande al virus. Nonostante l’infezione fosse già stata denunciata in Spagna a febbraio, le “autorità cittadine – temendo il boicottaggio da parte dei turisti estivi – avevano fatto del loro meglio per mettere a tacere la cosa“. Tutti inizialmente agivano come se il problema non esistesse, le navi continuavano a trasportare persone da una parte all’altra del globo e, nonostante ci fosse gente chiaramente malata a bordo, veniva fatta sbarcare senza alcun tipo di fermo o controllo, favorendo così il dilagare dell’epidemia. Finché la gravità della situazione non divenne evidente e la prima reazione fu, per l’appunto, addossare la colpa agli altri: per i russi i responsabili erano le tribù kirghise delle steppe del Turkestan, la Germania accusava i genieri cinesi presenti in Francia dietro le linee inglesi, in Argentina bandirono la paella tanto erano furibondi nei confronti della Spagna. Ma non basta. Le teorie complottistiche esistevano già allora: negli Stati Uniti si arrivò a sostenere che “la spagnola fosse l’arma segreta del Kaiser, diffusa da agenti sbarcati sulla costa orientale americana da sommergibili tedeschi. Rimaneva inesplicato un fatto che lasciava perplessi: <<l’arma segreta del Kaiser>> avrebbe troncato le vite di oltre duentoventicinquemila tedeschi“.

Notate qualche somiglianza tra allora e oggi? Non ci si ferma qua purtroppo. Leggere questo libro ha avuto lo stesso effetto di trovarsi davanti a un film già visto, tale è la natura dei fatti narrati. È come se oggi vivessimo una copia carbone di cento anni fa. Le mascherine prima erano introvabili, tanto che infermiere e inservienti ricorrevano alle “reticelle metalliche dei colini della salsa […] imbottite con garza medicata“, poi si diffusero di ogni foggia e forma per soddisfare i gusti della gente. Teatri e cinema chiudevano, si inventava la consegna d’asporto da parte dei ristoranti, si attivavano corsi per corrispondenza, a lavoro si facevano i turni e si cercava di evitare i mezzi pubblici sovraffollati, mentre per le strade si spargevano litri e litri di disinfettante superfluo. I contatti con i parenti ammalati erano difficili e il numero delle chiamate telefoniche era tale che si dovettero stabilire norme per chi dovesse chiamare e chi essere chiamato. Non solo, non potevano mancare di certo i negazionisti, e così a Londra per celia “si organizzavano gli <<starnuto>> party, con bottiglie di champagne come premio per gli starnuti più energici“.

Eppure, così come è successo a noi, non si può dimenticare il grande sforzo della comunità medica per far fronte al nemico comune. Tantissimi si adoperarono per dare il loro piccolo ma importante contributo. Con gran parte delle risorse al fronte, negli ospedali tornarono a lavorare medici con più di ottant’anni, affiancati da infermiere novelline ed inesperte. Privi di rifornimenti, si arrangiavano con mezzi di fortuna e continuavano a lavorare nonostante anche loro cadessero malati. Sarà banale ripeterlo, ma dobbiamo davvero loro un grazie enorme: moderni eroi, ogni giorno combattono in prima linea rischiando in prima persona.

Nonostante il tema trattato e i numerosi episodi finiti in tragedia (anche se non mancano le belle storie), non ho trovato il libro pesante, grazie alla modalità con cui l’autore ha deciso di raccontarci questa parte della nostra storia più recente. Si procede in ordine strettamente cronologico, ogni capitolo copre un numero preciso di giorni (il primo ad esempio va dal 3 al 12 settembre 2018), ma la natura della narrazione è quasi aneddotica. E in mezzo a tutti i singoli che fanno solo una breve comparsa, un filo conduttore lo creano le storie di alcuni uomini e donne che ritroviamo dai primi agli ultimi capitoli e ai quali ci si affeziona. Per citarne alcuni, la ventitreenne italiana Tersilia Vincenzotto (che deve correre al capezzale del marito Oscar, caduto malato al fronte), il medico spagnolo Juan Zamora (che in più di un’occasione salva la vita a malati dati per spacciati), l’infermiera danese Else Dahl (che quando si sente chiamata al suo dovere si mette a disposizione della comunità, nonostante il parere contrario del marito timoroso che anche il figlio possa ammalarsi), la giovanissima londinese Lydia Phillips (che non si arrende neanche quando capisce che il suo sogno di diventare infermiera comporta una realtà ben più dura di quella che immaginava), il giovane soldato inglese John Lewis Barkley (impegnato a combattere contro i tedeschi), il reverendo Walter Perrett (guida spirituale di una comunità di eschimesi del Labrador), il tenente Hector MacQuerrie (che trova a Tahiti una seconda patria e si prodiga per ricambiare l’accoglienza allestendo un ospedale). E oltre a loro, tanti altri.

La cosa davvero strana è che di questa influenza non parla mai nessuno, forse non si trova neanche sui libri di storia o è appena accennata. Ricordo che una delle primissime volte in cui ne ho sentito parlare è stato leggendo nientepocodimeno che Twilight: l’ormai famoso Edward infatti è stato trasformato in vampiro quando era in punto di morte proprio a causa della spagnola. Forse è a causa di questa cancellazione del passato che siamo stati colti così impreparati appena un anno fa. Di certo moltissime cose sono migliorate da allora: è stata proprio la spagnola a mettere in luce i gravi problemi di miseria e le scarse norme di igiene che caratterizzavano la vita dell’epoca e a cui si è posto rimedio con l’applicazione di regolamenti severissimi grazie ai quali oggi certi comportamenti sono diventati la normalità (lavare i piatti con acqua bollente o sterilizzare i gabinetti).

Ma l’insegnamento più grande valido allora, oggi e per sempre è che “nessuna nazione – nessun uomo – poteva più essere un’isola“.

2 pensieri riguardo “La spagnola: Storia dell’influenza che cambiò il mondo | Recensione

  1. Che bella recensione!
    Mi fa un’immenso piacere quando un libro che consiglio risulta interessante e utile per qualche altro lettore. Anch’io mi sono affezionata ai personaggi che hai citato, soprattutto Tersilla Vincezotto e il soldato John Lewis Barkley.

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