Pubblicato negli anni Ottanta, la sua fama e quella di Margaret Atwood è esplosa giusto qualche anno fa per via della serie TV prodotta negli Stati Uniti. Ormai vanno sempre così le cose, ma ben venga se questo ci consente di poter apprezzare romanzi di qualità finiti un po’ in sordina. Ho sentito tanti pareri diversi su Il racconto dell’ancella, c’è chi lo ha amato come l’amica che me lo ha regalato, chi è arrivato in fondo ma è rimasto un po’ deluso e chi ha deciso di interrompere la lettura perché proprio non ci si raccapezzava.
Ma veniamo dunque alla mia esperienza. Cosa ne penso? Per me è stata una lettura intensa, la scrittura della Atwood è magnetica e non riuscivo più a staccarmi dalle pagine. Riassumere la trama non è semplicissimo, ma l’idea di base è quella di una distopia: i nostri protagonisti vivono infatti nella Repubblica di Gilead che, a dispetto del nome, è una vera e propria dittatura di stampo teocratico (Gilead infatti è una regione della Palestina più volte citata nella Bibbia). L’epoca non è ben definita, ma sicuramente vicina ai giorni nostri visto che si parla di musicassette. Il colpo di stato è avvenuto in seguito a una contaminazione chimica che ha colpito gli Stati Uniti, causando l’infertilità di quasi tutte le donne. Pochissime sono state risparmiate, ma non ne traggono alcun vantaggio e anzi subiscono una sorte ben peggiore: strappate alla famiglia, assumono il ruolo di Ancelle, perdono il loro nome e diventano proprietà del Comandante a cui sono state affidate, come Difred (di proprietà di Fred), la protagonista il cui vero nome non ci viene mai svelato. Il seguente passo della Genesi (30, 1-4) è la giustificazione ufficiale dell’orrore perpetrato:
“Rachele, vedendo che non le era concesso di procreare figli a Giacobbe, divenne gelosa della sorella e disse a Giacobbe: «Dammi dei figli, se no io muoio!».
Giacobbe s’irritò contro Rachele e disse: «Tengo forse io il posto di Dio, il quale ti ha negato il frutto del grembo?».
Allora essa rispose: «Ecco la mia serva Bila: unisciti a lei, così che partorisca sulle mie ginocchia e abbia anch’io una mia prole per mezzo di lei».
Così essa gli diede in moglie la propria schiava Bila e Giacobbe si unì a lei.”
Le Ancelle perdono qualsiasi libertà, si trasformano in macchine riproduttive, tollerate perché necessarie, ma assolutamente mal viste dalle Mogli, le spose ufficiali degli uomini al potere. Oltre a loro ci sono tantissime altre categorie: le Zie, che istruiscono le Ancelle sul loro ruolo e si occupano delle donne incinte; le Marte, le signore ormai di una certa età che vengono risparmiate ma sono destinate a servire senza poter creare una propria famiglia; le Ecomogli, le donne della classe proletaria; le spose bambine che vanno incontro al loro destino dopo un bel lavaggio del cervello; le Nondonne, non fertili e inutili al lavoro e pertanto eliminate. A ogni condizione è associato a un colore ben definito, in ordine: rosso per le Ancelle, blu per le Mogli, marrone per le Zie, verde per le Marte, grigio per le Ecomogli, bianco per le giovani spose. Sono tutte vittime di questa situazione, eppure tra loro non c’è nessuna solidarietà, ognuna pensa al suo orticello, senza trasgredire per paura di essere catturata dagli Occhi, i servizi segreti.
Gli uomini in realtà non stanno molto meglio. Hanno apparentemente un potere smisurato, che però li tiene egualmente in trappola. Ad alcuni di loro (i Custodi) è vietato avere delle compagne, altri possono limitare la loro scelta alle Ecomogli, gli stessi Comandanti non traggono molti benefici dall’essere costretti, dalla stessa società che hanno creato, a trascorrere la vita accanto a una Moglie e un’Ancella con cui hanno poco e nulla in comune. A mio parere sono tutti perdenti, non c’è nessun vincitore.
Claustrofobico è l’aggettivo che più associo a questo romanzo. Siamo un animale bloccato come Difred, che anche nelle sue uscite è sorvegliata da un’altra Ancella e a casa ha a disposizione solo una misera stanza con un letto e un armadio. Continuiamo a muoverci avanti e indietro nella sua testa, tra il presente, il passato prossimo della prigionia e dell’indottrinamento e il passato remoto della vita precedente, con una lavoro, una famiglia, una marito, una figlia. La speranza di poter rivedere la figlia è l’unica cosa che le impedisce di crollare, per lei si impone di sopportare tutto. Finché non diventa troppo, finché forse qualcosa bisogna iniziare a fare, trasgredire alle regole, unirsi al movimento della resistenza.
Chi avrà la meglio? Il finale è molto aperto, ma l’ho trovato la degna conclusione che il romanzo si meritava. È vero inoltre che, a parte pochi cenni fondamentali per la struttura del romanzo, la società non è molto approfondita, e se ridotta all’osso la trama è minima. Ma tutto concorre a creare un voluto senso di vaghezza in cui i pensieri di Difred possono spiccare e “urlare” più forte che mai.
Cerco di non pensare troppo. Al pari delle altre cose, il pensiero dev’essere razionato. Ci sono pensieri che diventano intollerabili quando ci si sofferma troppo. Il pensare può nuocere, e io sono decisa a resistere. So perché non c’è il vetro sull’acquerello di giaggioli blu, e perché la finestra si apre solo in parte, e perché è di cristallo infrangibile. Non temono che ce ne andiamo di nascosto. Non arriveremmo lontano. Temono altre fughe, quelle che puoi aprirti dentro, se hai un oggetto con un bordo tagliente.
[…]
Resta uno specchio, sulla parete del corridoio. Se giro la testa, così che le bianche alette che m’incorniciano il volto dirigano il mio sguardo da quella parte, lo vedo mentre scendo le scale, tondo, convesso, uno specchio che è come l’occhio di un pesce, e con dentro me, un’ombra deformata, una parodia di qualcosa, una figura da fiaba in un mantello rosso, che si avvia verso un momento di noncuranza che è identica al pericolo. Una suora inzuppata di sangue.
Traduzione di Camillo Pennati
Una libro impressionante e purtroppo tuttora moderno per le tematiche che tratta. Un libro che in più punti è riuscito a farmi tremare.
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Verissimo, per entrambi i punti che hai segnalato.
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Io l’ho trovato pesante, in generale non amo i libri troppo didascalici, dove la storia è troppo apertamente subordinata al “messaggio”. Così anche per il lodatissimo Cecità di Saramago
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Ci sta assolutamente, lo capisco benissimo. Il fatto che uno stesso scritto susciti nei lettori mille reazioni diverse è una qualità straordinaria dei libri. Ognuno poi risponde secondo la propria sensibilità 🙂 “Cecità” non l’ho ancora letto, quindi non posso fare un confronto al monento.
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Bellissima recensione :). Basta tenersi alla larga dal sequel…
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Lungi da me! Mi ricordo bene la recensione in cui esprimevi la delusione per questo sequel poco necessario.
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Uno dei libri più belli che io abbia letto negli ultimi anni, che tratta dei temi profondamente attuali. All’apertura del finale la Atwood ha cercato di “rimediare” (se di rimedio è lecito parlare) con “I testamenti”, che perde parecchio rispetto a “Il racconto dell’ancella”. Concordo con “Il verbo leggere”: “I testamenti” è probabilmente la risposta alle domande dei fan della serie e che – probabilmente – in assenza di esse non sarebbe mai nato, altrimenti non mi spiego il perché di aspettare così tanti anni per pubblicare il sequel. In ogni caso, la Atwood è una penna meravigliosa. 💛
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Secondo me può succedere, anzi, non mi sembrerebbe così strano, che un autore o autrice immagini già i destini dei suoi vari personaggi, anche se per ragioni di trama a noi non vengono mai svelati. Però in questo caso è troppo sospetta l’uscita improvvisa di un “sequel” a così tanti anni di distanza.
Ma questo non intacca la sua bravura di scrittrice 🙂 Tra l’altro, per un certo periodo su YouTube continuavo a vedere la pubblicità di una masterclass di scrittura tenuta da lei. Era la prima volta che la vedevo in video e mi è stata subito simpatica! Dovrei andare in cerca di interviste, mi dà l’idea di una persona molto piacevole anche da ascoltare.
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