Il condominio | Recensione

Il condominioOggi parliamo di romanzi strani. Ebbene sì, non saprei in che altro modo definire Il condominio di J. G. Ballard. Me lo aspettavo in parte, conoscevo la sua  nomea, però è risultato ancora più strano di quel che credessi. Quasi un fantascienza moderno, se ha senso il termine.

Inizia quando tutto è già successo, con Robert Laing che seduto sul balcone mangia carne di pastore tedesco arrostita. Da qui si torna indietro a scoprire cosa ha causato questa situazione, terribilmente insolita. Ma non sono solo i ricordi di Laing che seguiamo, c’è un narratore completamente esterno e distaccato dagli eventi che cattura gli avvenimenti come se usasse una cinepresa e proiettasse tutto su un telo bianco. Si sofferma in particolare sulle vicende di tre personaggi e, alternativamente, tramite l’uso del pensiero indiretto libero, ci mette a conoscenza dei loro ragionamenti e delle loro emozioni.

Il condominio

Richard Wilder, Robert Laing, Anthony Royal: sono i tre prescelti per raccontarci di questa epopea, ognuno a rappresentanza delle tre classi sociali che popolano il grattacielo. Il condominio è infatti composto da 40 piani e abitato da circa 2000 inquilini, gli ultimi dei quali si sono da poco sistemati in questo luogo di residenza ambito, un gioiello della modernità, dotato di ogni comfort possibile e immaginabile. Supermercato, palestra, due piscine, parrucchiere, scuole, asili nido, giardini con giochi, aria condizionata, ascensori che saltano direttamente le fermate ai piani inferiori. Un sogno, un traguardo da raggiungere, un luogo pieno di persone, ma dove è quando mai facile sentirsi soli, isolati da tutti, perché tante delle relazioni instaurate sono solo di facciata. Le persone si incontrano alle feste e si scambiano convenevoli, ma c’è un non detto dove serpeggiano le ostilità.

Questo grattacielo è quindi un vero e proprio microcosmo della società umana. Ai piani bassi, fino al decimo, vivono le classi inferiori, formate da semplici lavoratori come Wilder, un regista televisivo. Fino al trentacinquesimo piano troviamo la borghesia di cui fa parte Laing, un medico che ha messo da parte la professione per una più tranquilla vita da professore universitario. Agli ultimi 5 piani vivono i ricchi professionisti in lussuosi appartamenti che culminano nell’attico di Royal, l’architetto che ha progettato l’edificio.

Un giorno la luce salta per 15 minuti, tutto piomba nel buio e quando l’elettricità ritorna un levriero galleggia nella piscina del decimo piano, morto. Il giorno dopo si compie una lenta trasformazione: le regole della civile convivenza sembrano venir meno, la gente smette di andare a lavorare e le ostilità tra i piani si fanno aperte. Inizia una vera e propria guerriglia con incursioni, pestaggi, conquista di appartamenti altrui, omicidi e libero sfogo delle proprie depravazioni.

Wilder (notare il wild, cioè “selvaggio”, del cognome) abbandona moglie e figli per compiere la sua grande impresa, la scalata dell’edificio, un piano dopo l’altro.

Laing (il cui cognome deve pur dir qualcosa, ma non trovo nulla di sensato; ho però trovato un Ronald Laing psichiatra… saranno collegati? Se voi sapete, per favore aiutatemi…) preferisce invece l’inazione all’azione. Si barrica in casa, sistemando accuratamente i mobili a mo’ di trincea e vive beato circondato dalla spazzatura.

Royal (il cui cognome suggerisce qualcosa di regale) osserva questo scomporsi dall’alto della sua posizione, compiaciuto di vedere il suo personale zoo autodistruggersi, come se avessero aperto le gabbie e gli animali fossero lasciati liberi di sbranarsi a vicenda. Con il suo completo bianco immacolato si aggira come una divinità, mentre le macchie di sangue di cui poi si copre hanno lo stesso valore di medaglie di guerra.

È il ritratto di un’umanità arrabbiata, assoggettata ai propri istinti primordiali, il mito del buon selvaggio viene negato, la vera natura dell’uomo è peggio che animalesca. Da un certo punto in poi la salita di Wilder si trasforma paradossalmente in una discesa negli inferi e il peggio non sembra avere mai fine. Ma l’occhio distaccato con cui tutto ciò ci viene narrato ha creato un certo distacco anche in me che leggevo, nel senso che alla fine diventa impossibile inorridirsi più di quello che abbiamo già fatto nelle prime pagine.

Quello descritto nel romanzo è uno scoppio di violenza fine a se stesso, non si estende al resto del mondo, e forse è causato proprio da tutti i vincoli sociali che ci vogliono incasellati in un ruolo predefinito. E colpisce anche la resa delle donne, prima creature indifese di cui prendersi cura, poi oggetti da usare per il proprio piacere e marcare il territorio, quindi padrone di loro stesse, anche se ormai prive di umanità come tutti gli altri.

Non so se concordo troppo con questa teoria così pessimista della natura umana, forse perché cerco sempre di vedere il bene nelle persone. Il mondo però sembra darmi torto, visto che ogni giorno ci dimostra quanto sia facile percorrere la direzione opposta, che l’arrivismo, il potere, il disprezzo, l’odio, la legge del più forte valgono ancora ovunque e dobbiamo stare molto attenti ad arginarli. Ma se queste derive violente denotano il nostro vero essere, allora dove mettiamo la bontà, l’amore e la generosità di cui comunque siamo capaci? Di sicuro si è trattata di un’esperienza di lettura interessante: l’idea di base e i tre protagonisti sono il vero punto forte dell’intera vicenda e lo stile asciutto che non gira intorno alle cose serve bene lo scopo dell’autore.

Un altro romanzo di Ballard che mi ero segnata è Foresta di cristallo, sono molto curiosa di quello che mi riserverà!

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9 pensieri riguardo “Il condominio | Recensione

  1. Un articolo su “The Guardian” dice che Laing è “chiaramente ispirato” allo psichiatra. Non so se, in aggiunta, può essere collegato ai verbi “to lie” (“giacere, sdraiarsi”, in particolare il participio passato “lain” o il quello presente “lying”) e “to lay” (significati vari). 🤔

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