Eleonora de Fonseca Pimentel (1752-1799). Per gli amici, Lenór. Non è la prima volta che io e lei ci incontriamo, ma dopo più di 10 anni era giunta l’ora di una rimpatriata. Se in quarta liceo avevo letto Il resto di niente di Enzo Striano con grande interesse perché era la versione romanzata di quello che stavo studiando in storia, stavolta ho apprezzato soprattutto la costruzione e lo sviluppo della nostra protagonista.
L’autore ricorda e rimarca che la sua non è e non vuol essere una biografia, quindi tutto va letto sotto la lente del romanzo storico. Qualunque sia la forma, io credo sia riuscito benissimo nel ritratto di questa donna, scrittrice, giornalista e politica, che grande ruolo ha avuto sulla scena napoletana, prima e durante il tentativo di costituire la Repubblica, a modello di quella francese. Soprattutto se pensiamo che, quasi sempre, a fare la storia e a essere ricordati sono gli uomini.
Lenór nasce a Roma, ma la famiglia è di origine portoghese, fuggita dal paese a causa di persecuzioni politiche. Missione del padre sarà farsi riconoscere le patenti nobiliari, con sua grande disillusione. All’età di 10 anni Lenór è costretta a lasciare la città che stava appena imparando a conoscere per trasferirsi a Napoli. L’impatto iniziale è ricco di contrasti, da una parte la poesia del Vesuvio e del mare in lontananza, dall’altra la povertà e la sporcizia che caratterizzano le strade. Nonostante questo, la piccola percepisce fin da subito anche un grande calore irradiare dalle persone: si sente accolta e Napoli diventerà indiscutibilmente la sua patria, a cui dedicherà letteralmente l’intera esistenza.
La narrazione, seppure in terza persona, procede offrendoci esclusivamente il punto di vista della giovane. La seguiamo nella sua crescita, da bambina ad adolescente a donna, diversa dalle sue coetanee: incoraggiata dallo zio, cerca di soddisfare la sua curiosità verso il mondo leggendo libri di argomenti diversi: astronomia, fisica, economia. Impara a scrivere sonetti e poesie, ma il primo che presenta al circolo di intellettuali a cui viene introdotta a soli 15 anni non è di argomento amoroso, bensì scientifico.
Gli intellettuali sopra citati non sono altro che tutta la serie di personaggi che popolano i libri di scuola. È bello vederli sotto una forma più umana, ma devo ammettere che dopo un po’ diventano troppi e si fa non poca confusione nel cercare di stare sempre al passo con tutti. Ad ogni modo, Lenór è in ottimi rapporti con tutti loro e costituiscono essenzialmente il suo mondo. La vita infatti prosegue, tra alti e bassi, gli inviti a Corte, l’iscrizione all’Accademia, i primi amori. Ma anche le ristrettezze economiche e il destino di donna destinata a sposarsi, per garantirsi un futuro, che incombe sempre più minaccioso.
Ma cosa fanno questi intellettuali che sciamano con grande frenesia da un salotto all’altro, intenti a riversare fiumi di parole che sembrano fini a loro stesse? Sognano un mondo migliore, con maggiori diritti, privo dell’oppressione a cui sono sottoposti i ceti più bassi della società. Si guarda alla Francia e grandi speranze vengono riposte nella monarchia illuminata di Ferdinando IV e Maria Carolina d’Austria. Sappiamo purtroppo che anche questa monarchia era uguale a tutte le altre, che al suo posto aveva albeggiato la Repubblica Napoletana, tramontata poi troppo presto in una violenta repressione.
In un certo senso, c’è molta politica in questo romanzo, ma nonostante i discorsi altisonanti di alcuni, Lenór ci riporta sempre con i piedi per terra, con le sue incertezze, la consapevolezza di star vivendo un grande momento storico e la certezza di non disporre degli strumenti adeguati per affrontarlo. Perché, facile leggere della Repubblica a cose fatte sui libri, ma nella realtà, com’è che si fa una Repubblica? Mica facile. Nonostante le buone intenzioni, il divario tra gli intellettuali che dal loro mondo dorato spingono per il progresso e il popolo che dovrebbe beneficiarne è enorme, le due parti non si conoscono affatto. Il popolo, povero, ignorante, soggetto alla fatica, non è disposto a cambiamenti così radicali dall’oggi al domani, in un certo senso la monarchia offre loro certezze e sicurezze, mentre i benefici della Repubblica sono ancora troppo astratti. Nessuno crede che ci potrà mai essere parità tra classi: una semplice serva non potrà mai essere considerata sullo stesso piano di una principessa. La giovane Gabriella, domestica di Lenór, è esattamente l’espressione di quanto detto sopra. Vincenzo Cuoco capisce bene il problema, ma non viene ascoltato, sono tutti troppo entusiasti e votati al protagonismo sulla scena, quasi si trattasse di un gioco. Allo stesso modo Lenór sa che solo tramite l’istruzione, offrendo a tutti la possibilità di studiare, si potrà parlare di vero progresso, ma queste sono trasformazioni che hanno bisogno di tempo. E tempo purtroppo non ce n’è. Non spoilero nulla sulla sorte dei personaggi per chi volesse scoprirlo di prima mano. Ma ecco, le date di nascita e morte ci suggeriscono che purtroppo Lenór ha dovuto salutare questo mondo troppo presto.
La scrittura è decisamente particolare, ho letto che viene definita “barocca“, infatti talvolta può risultare un filino pesante, con tutte quelle parole (anche estremamente settoriali) che si accatastano l’una sull’altra. Si alternano comunque vari registri stilistici, che in un certo senso coincidono con lingue proprio diverse, a testimonianza dell’internazionalizzazione che già caratterizzava il mondo. Si passa dal portoghese delle espressioni familiari in casa di Lenór al napoletano stretto del popolo basso, dall’italiano letterario dei salotti al francese, simbolo di massimo intellettualismo.
Un bel libro che sono proprio contenta di aver letto con nuovi occhi dati da una nuova maturità, considerando che ricordavo molto poco. In Lenór mi sono ritrovata spesso, è la mia nuova amica. Per quanto riguarda il titolo, è un detto popolare che si significa “nulla di nulla” (ma trovo che “il resto di niente” sia davvero molto più espressivo): a voi scoprire come e dove si colloca nel romanzo.
L’ho letto parecchio tempo fa: mi fa piacere ritrovarlo tra le tue letture.
Di solito evito le riletture, ma devo ammettere che nel caso di libri letti sui banchi di scuola (penso in particolare a L’opera al nero di cui non avevo capito quasi niente al tempo) si rivelano necessarie. Bel post!
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Grazie! Io ho una rosa di titoli a cui piano piano sto dando una seconda rilettura, principalmente perché è passato molto tempo da quella prima volta in cui mi avevano colpito.
“Il resto di niente” per me è un libro da banco di scuola un po’ particolare, nel senso che non ci era stato imposto, è stato un regalo che mi è arrivato dalla mia insegnante di italiano quando per un mese, per motivi di salute, non ero potuta andare a scuola.
Non ho mai letto “L’opera al nero”, ma “Memorie di Adriano” sì, già da grande per così dire, e posso quindi capire il trauma di dover leggere libri di questo genere quando ancora non è tempo 😅
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il film tratto da questo romanzo era stupendo. Mi tocca leggere il libro 😉
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Ecco, invece io sono quella che non è mai aggiornata sui film! Ma quelli tratti dai libri di solito voglio vederli, me lo segno.
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