Le nuvole non chiedono permesso | Recensione

Le nuvole non chiedono permessoPenso sia una sensazione condivisa il senso di inadeguatezza che si prova nel continuare a parlare di cose “normali” quando sappiamo benissimo cosa sta accadendo poco lontano da noi. È come se la mia mente fosse distaccata dal mio presente e non riuscisse più a godersi le cose come prima. Ma proviamo a continuare per la via su cui eravamo tornati, nonostante tutto. E quindi vi presento oggi un piccolo diario di viaggio: Le nuvole non chiedono permesso, dalla Patagonia all’Alaska, cento giorni a piedi e in corriera di Tito Barbini.

Per chi non conoscesse l’autore, Tito Barbini è un politico italiano che ha iniziato la sua carriera a soli 23 anni come sindaco della sua città e che nel 2004, a circa 60 anni, ha deciso di mollare tutto e mettersi a girare il mondo, da solo. Niente aerei comodi e veloci o alberghi di super lusso. L’unico mezzo di trasporto concesso sono i piedi, questa importantissima parte del corpo a cui ogni giorno ci affidiamo per spostarci da un posto all’altro. Giusto per le tratte più lunghe l’uomo decide di affidarsi ai pullman locali. Io provo sincera ammirazione per queste persone.

Vi avviso però che il sottotitolo è leggermente ingannevole: più della metà del libro è occupata dall’America meridionale e poco e niente rimane per gli Stati Uniti e il Canada, mentre l’Alaska citata è totalmente assente. Ma ci sta, alla fine forse è meglio concentrarsi sui luoghi che per noi sono ancora piuttosto sconosciuti.

Le nuvole non chiedono permesso

La narrazione è costituita da brevi ritratti di mondi e di incontri, quasi trascrizioni di un diario di viaggio e lettere scambiate con familiari e amici. A volte sembra un po’ indugiare sul mito dell’autenticità dei Paesi poveri, come suggerisce l’episodio del viaggio in corriera: il mezzo è sgangherato, l’autista continua a tirare su gente a fermate a caso, il prezzo delle corse dipende dalle abilità del contrattatore, ma i passeggeri indigenti e carichi di merci sono estremamente affettuosi e disponibili nei confronti del nostro straniero. Nonostante questo, credo di preferire la sicurezza e la funzionalità a cui siamo abituati noi.

Dato che non c’è una trama vera e propria, vi lascio di seguito una carrellata di momenti che mi hanno colpito, così potete sapere cosa aspettarvi.

Abbiamo i ricordi relativi al mito del comunismo russo, instillato dal padre che vedeva in Stalin la soluzione a tutti i problemi, seguito dalla delusione e da un sentimento di tradimento quando poi è venuto a galla cosa accadeva davvero in Unione Sovietica. In Cile diversi passaggi riguardano Neruda e includono la visita alla sua abitazione, ma c’è anche tempo per omaggiare il cantante e chitarrista Victor Jara, ucciso durante il colpo di stato contro il presidente Allende. E ancora, veniamo a conoscenza delle storie degli indigeni mapuche, espropriati delle terre in mano loro da generazioni, unica fonte di sostentamento. Intentano una causa persa contro il gruppo The United Colors of Benetton, una delle grandi aziende occidentali non troppo dissimili dagli antichi conquistadores; al posto delle armi da fuoco usano i capitali di cui dispongono e con cui possono comprare qualsiasi cosa, anche se questo significa lasciare famiglie senza nulla.

La natura trova grande spazio, ed è stato bellissimo leggere degli avvistamenti delle balene che giocano e quasi si esibiscono in salti per i loro spettatori, di cui non hanno più paura da quando la caccia ai cetacei è cessata. Interessante il racconto di un ex-baleniere, che amava il suo lavoro fintanto che si realizzava in una lotta epica tra uomo e animale, mentre l’arrivo della tecnologia aveva trasformato tutto in un’attività sterile, tra radar e arpioni che venivano scagliati automaticamente.

Come dimenticare poi il surreale torneo di calcio in un piccolo paesino delle Ande, dove si contrapponevano nazisti tedeschi, antifascisti italiani, inglesi delle estancia, commercianti spagnoli, operai guaranì e tribù di mapuche. L’arbitro? Un rapinatore di banche e di treni.

L’Argentina è nota per essersi trasformata nel rifugio di molti nazisti fuggiti dall’Europa per farsi una nuova vita. Come “Don Enrico“, che per gli abitanti del luogo è un semplice ristoratore capace di sfornare piatti di alto livello. Come possono sembrare amabili certe persone, fuori contesto, senza sapere nulla del loro oscuro passato! E poi ci sono Las madres de Plaza de Mayo, che continuano a manifestare per ricordare i figli e i nipoti desaparecidos, giovani che credevano nella rivoluzione e che sono stati letteralmente rapidi dal governo, spariti nel nulla.

In Bolivia invece incontriamo gli zappatori di sale. Svolgono un lavoro logorante e si ritrovano mani e piedi bruciati dal sale stesso. Sul luogo arrivano numerosi turisti, che sono “accecati” dalla bellezza della natura e non sono neanche sfiorati dalla fatica a cui sono costretti questi lavoratori. Vogliamo poi parlare di feste pagane trasformate in cristiane? I missionari hanno cercato di imporre agli inca la festa di San Giovanni (che cade il 24 giugno), ma per le persone rimarrà sempre la Festa del sole (che cade il 21 giugno) e quindi iniziano a festeggiare il martire accendendo fuochi.

Nell’attraversare la frontiera tra Messico e Stati Uniti, Barbini si trova a sperimentare parzialmente sulla propria pelle quello che subiscono le migliaia di persone che cercano di immigrare nel Paese che, nelle loro speranze, garantirà loro un futuro migliore. Non essendo in visita ufficiale, i funzionari sono alquanto sospettosi notando alcuni timbri sul suo passaporto, come quello della Libia. Lo interrogano a lungo, ma in tre ore se la cava. Ad altri va molto peggio, non hanno neanche questa via preferenziale e devono aspettare giorni in fila fuori.

Arriviamo infine in Canada, dove sono tristemente famose le Scuole residenziali indiane, sfruttate per sottrarre i bambini alle loro famiglie e, in pratica, sterminarli. I telegiornali di oggi hanno giusto riportato la recente scoperta di nuove e numerose fosse comuni, macabre testimonianze di questo terribile genocidio.

Qui termina il viaggio, attraverso un continente che si estende letteralmente da un polo all’altro e ricco di culture e tradizioni diverse, uno spettro molto variegato della specie umana. L’essere così disposti all’incontro e all’ascolto è una pratica che dobbiamo continuare a coltivare, per sempre, perché solo in questo modo possiamo capire gli altri. Se iniziamo a considerarli amici, mai ci verrà in mente di attaccarli o di sviluppare idee di sopraffazione nei loro confronti.

4 pensieri riguardo “Le nuvole non chiedono permesso | Recensione

  1. Sarebbe un viaggio molto affascinante, anche se richiederebbe tanto tempo e denaro (pure risparmiando su trasporti e alloggi come fa l’autore)!
    Mi sembra un libro interessante per i numerosi argomenti trattati, possono anche essere spunti per approfondire poi ciò che ha catturato di più l’attenzione.

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    1. Me li segno! Mi piacciono i diari di viaggio che in poco tempo ti permettono di esplorare più luoghi, ma è anche giusto soffermarsi un po’ di più in un solo posto. Poi ho avuto un’insegnante originaria dell’Argentina, quindi sono sempre felice di leggere di più su queste terre 🙂

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