Con la recensione di oggi torniamo un po’ indietro nel tempo. Infatti ho letto Sharon e mia suocera: se questa è vita di Suad Amiry nel 2021 (dopo averlo scovato nel blog di Squittii tra le pagine) e per questo motivo non è comparso nel recap letture 2022. Ma la bozza giaceva in Word già da tempo immemore e finalmente le faccio vedere la luce.
Suad Amiry è un’architetta, anche piuttosto importante, ma soprattutto è una palestinese residente a Ramallah, che rientra tra i territori occupati da Israele nel 2001 e 2002. Come una persona qualunque, si sfoga scrivendo, riversando su carta la rabbia per le condizioni in cui è costretta a vivere e lo stato di ansia e paura che ne consegue. Da questi diari personali ha avuto origine il libro che vi presento oggi, diventato praticamente narrativa condita con una buona dose di humour.
Il titolo ne è già un esempio: Sharon è il primo ministro israeliano Ariel Sharon, che complica la vita a Suad con le sue scelte politiche, e fa sorridere vederlo accostato alla suocera Umm Salim, che esaspera parimenti l’autrice durante la convivenza forzata, perché non è facile star dietro alle sue abitudini e orari rimasti inalterati come in tempi di pace anche nei giorni di occupazione.
Qualsiasi opinione si abbia sulla situazione Israele-Palestina, penso che questo sia un libro da leggere a prescindere, perché offre uno spaccato di vita vera e ci mostra il mondo nella sua complessità.
Non si può che provare empatia per Suad. Soprattutto quando si notano i parallelismi con situazioni che abbiamo vissuto in pandemia: mentre leggevo, anche noi eravamo ancora sottoposti a restrizioni e controlli a cui molte persone erano insofferenti. Ma vogliamo pensare a lei che li ha vissuti per anni con quotidianità e in un clima decisamente più ostile?
Da noi si distruggevano negozi non appena scattava l’ordinanza di coprifuoco, che ci impediva di mangiare in bar e ristoranti dopo le 18 o di stare fuori casa dopo le 21. Loro, quando arriva l’esercito israeliano, hanno un coprifuoco che dura giorni e che viene tolto solo ogni tanto, improvvisamente per qualche ora. Ore che vanno sfruttate al massimo, per salutare amici e parenti, assicurarsi che stiano bene, e poi di corsa a svaligiare supermercati perché bisogna fare scorte fino alle prossime ore di libertà. In tutto ciò, c’è sempre il pericolo di imbattersi in qualche soldato che ha voglia di fare un po’ il gradasso, soprattutto se stai rientrando a casa giusto dopo che il coprifuoco è scattato di nuovo. Per non parlare poi di quando cerchi di recuperare tua suocera di 91 anni, che è meglio che non rimanga sola, e per farlo devi aggirare carri armati passando per i giardini dei vicini e scavalcando muretti.
E cosa pensare delle perquisizioni fatte solo per appropriarsi di beni di valore e delle automobili fatte saltare in aria senza un perché? Per non parlare delle difficoltà di spostamento, altro che green pass! Per muoversi Suad deve spesso ottenere due tipi di visti diversi, passare da numerosi checkpoint e perdere sempre un sacco di tempo. I controlli in aeroporto sono sempre un problema, i funzionari si insospettiscono quando vedono che è nata a Damasco, in Siria.
In tutto ciò si inseriscono anche le complesse avventure in amore. Suad deve fare i salti mortali per raggiungere il fidanzato Salim e si trova anche a dover rinnegare il sostegno a un’organizzazione palestinese per non perdere il lavoro di insegnante all’università che le garantisce il visto. Bellissima la battuta sul fatto che un governatore non dovrebbe permettersi di impicciarsi negli affari sentimentali della gente, separando le persone e costringendole a decisioni cosi difficili. In realtà la situazione non migliora neanche dopo che diventano “congiunti”. Dopo il matrimonio, le occorrono tre anni per ottenere la carta d’identità che le permette di vivere a Ramallah con il marito. Nel frattempo l’unica via percorribile è l’illegalità.
Si creano inoltre divisioni senza senso: vicini palestinesi che diventano collaboratori degli israeliani e favoriscono arresti; israeliani che hanno paura dei palestinesi e palestinesi che sono terrorizzati dagli israeliani come se fossero mostri disumani. Così la nipote di Suad è paralizzata dall’ansia quando caricano in macchina un uomo israeliano che rischia di morire di infarto. Quest’ultimo, d’altra parte, è convinto che non lo porteranno mai in ospedale ma che lo scaricheranno chissà dove. Suad invece non ha problemi ad avere amici israeliani. La verità è che per la maggior parte siamo semplicemente persone che, lontano dai magheggi della politica, vorrebbero solo vivere la propria vita in pace; che hanno un sacco di cose in comune; che incontrandosi spesso si rendono conto che i motivi d’odio non hanno ragione di esistere, sono gli interessi a livelli più alti che rovinano sempre tutto. Parliamo di due popoli che continuano a soffrire in egual misura e spero tanto che un giorno si giunga una soluzione che riporti in modo definitivo la pace.
Se devo indicare un difetto, ma più per gusto personale, non mi ha convinto molto la frammentarietà degli episodi, avrei cercato di collegarli maggiormente, creando un filo narrativo unico che andasse dall’inizio alla fine. I contenuti, invece, promossi a pieni voti.
Felice che ti sia piaciuto e che tu abbia deciso di scriverne così brillantemente!
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Grazie! Scorrendo il tuo blog (devo recuperare un po’ di articoli, per qualche motivo mi sono spariti dal feed) ho visto che ne hai recensito un altro. Mi piace molto come scrive Amiry, quindi questo non sarà l’ultimo suo libro che leggo, grazie per avermela fatta scoprire 🙂
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Sì, esatto! “Storia di un abito inglese e di una mucca ebrea” è narrativa, ma comunque fondato su testimonianze e storie realmente accadute. Ne vale la pena! Stilisticamente l’ho anche preferito a “Sharon e mia suocera”. Grazie a te e buona lettura!
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Mi hai incuriosita parecchio con la tua recensione, metterò il libro nella mia lista “to read” 😉
Grazie!
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Ne sono felice 😊
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Libro davvero interessante. Mi piacciono tanto le storie di donne. Lo comprerò.
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Spero che soddisfi le aspettative!
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🙂 Mi piacerà sicuramente. È il mio genere. 🙂
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