Nella settimana in cui si celebra la Giornata internazionale della donna, mi sembrava giusto portare la recensione di un romanzo nato dalla penna di Edith Wharton. Scrittrice e poetessa statunitense di inizio ‘900, famosa per le sue opere femministe, con L’età dell’innocenza è stata la prima donna a vincere il premio Pulitzer per la narrativa nel 1921.
Mi ero già imbattuta in questa autrice leggendo The Muse’s Tragedy, short story contenuta nella raccolta Daughters of Decadence curata da Elaine Showalter. Ma è grazie al blog Delirium Corner che ho scoperto il suo più importante romanzo.
La scena d’apertura è simbolica, un teatro della New York di fine ‘800 dove si recano le famiglie aristocratiche più in vista non tanto per interesse verso lo spettacolo quanto per andare loro stesse “in scena”, mettersi in mostra e scrutare le altre persone nei palchi. È un’allegoria della società in cui vivono, in cui recitano una parte, in cui hanno importanza forma e apparenza, dove è facile spettegolare e criticare per poi offendersi per non aver ricevuto l’invito a un evento.
Per via dei temi trattati, trovo interessante la scelta di avere un uomo come protagonista e di narrare la vicenda dal suo punto di vista. Ma è quello che ci serve, la visione maschile ci permette di osservare dall’esterno qual era la situazione femminile all’epoca, nell’alta società, e come erano percepite e giudicate le donne. E anche se presto diventa ovvio che Wharton si serve di questa figura come portavoce dei suoi propri ideali, suggerisce anche che il cambiamento sarà reso possibile anche proprio dalla presa di coscienza degli uomini stessi.
Newland Archer è il classico giovanotto che si gode gli agi della sua classe: ha come uniche preoccupazioni fumare un sigaro in biblioteca, sistemarsi l’abito con una spazzola laccata recante le sue iniziali, far finta di svolgere la professione di avvocato, recandosi in ufficio senza far niente tutto il giorno. Ah, e sposarsi con una bella fanciulla, la cugina May. Non è una persona cattiva né antipatica, è solo figlio del suo tempo e sta seguendo senza deviazioni la strada che deve percorrere.
Finché un evento inaspettato, l’arrivo di un’altra donna, non sconvolge tutte le sue convinzioni. Mi ha colpito in particolare l’asimmetria tra due nomi secondo me non casuali. May è una “Welland”, che potremmo interpretare come “buona terra”, il luogo ideale in cui sistemarsi. Ma Archer di nome fa “Newland”, quindi “nuova terra”, perché poco per volta abbandonerà i binari su cui viaggiava tranquilla la sua vita per avventurarsi in luoghi sconosciuti.
L’epifania è rappresentata da Ellen Olenska, cugina di May, tornata a New York dopo essere fuggita da un matrimonio-gabbia. Eppure c’è chi la critica per il suo desiderio di divorziare, gli agi e le ricchezze derivanti dall’essere sposata a un conte polacco ben compensano i tradimenti e l’assenza di amore. Ellen, cresciuta libera insieme a una zia in giro per l’Europa, scandalizza tutta la società bene newyorkese per come si veste (troppa pelle scoperta), per come si comporta (vive sola e riceve di continuo visite di uomini) e per come si diverte (andando a ballare in maniera sfrenata presso la famiglia con la peggiore reputazione).
Eppure il suo essere così diversa è una calamita a cui nessuno riesce a resistere: tutti la invitano e tutti vogliono averla al proprio fianco, soprattutto gli uomini, attratti dalla sua bellezza, dal suo portamento, dalla sua indipendenza.
Archer non è da meno e si trova a un terribile bivio. Vuole bene a May, ma ormai ha aperto gli occhi sul mondo in cui vive, dove bisogna per forza rispettare regole non dette, dove i pensieri si intuiscono senza poterli esprimere ad alta voce, dove il decoro ha sempre la meglio sui veri desideri delle persone. Inoltre, si rende conto che esiste un tipo di donna diversa da quella che pensava fosse la perfezione. May è bella e dolce, ma è cresciuta solo per diventare un’ottima moglie e madre secondo i canoni tradizionali. Con Ellen invece può dialogare su diversi temi ed entrambi hanno visto il mondo e amano viaggiare.
In sostanza, il romanzo va esplorando questa situazione delicata, sondando le emozioni di Archer e stregandoci con la figura magnetica ma sfuggente di Ellen. Quale sarà la sorte dei loro destini non posso certo rivelarlo qui io adesso, ma vi invito a ragionare attentamente sul significato del titolo “L’età dell’innocenza”. Forse a “macchiarsi” di ingenua innocenza verso gli affari del mondo non è, o non è soltanto, May, la persona che più frequentemente nel libro viene inquadrata da Archer in tal senso. Anzi, May si rivelerà molto sveglia e consapevole di come gira il mondo e non è affatto un brutto personaggio benché rientri appieno negli schemi classici. Forse innocente è Archer stesso, che guarda gli altri quasi con piglio di superiorità in virtù delle sue nuove avanguardistiche convinzioni, senza rendersi conto che le maglie di quel mondo di cui è figlio lo stringono più di quanto egli pensi.
Grazie per avermi citato! Questo libro, che ritengo fuori dalla mia comfort zone, mi colpì e ancora oggi lo reputo una piacevole sorpresa! Bella analisi!
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Per me invece rientra appieno nella mia comfort zone, ma chissà tra quanto tempo ancora lo avrei scoperto se non avessi letto della tua esperienza!
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Uh ma non lo conoscevo, grazie d’avere parlato, devo recuperarlo! Interessante la scelta di raccontare dal punto di vista maschile.
Certo che è da più di un secolo che ci auspichiamo la presa di coscienza maschile e ancora niente 😅 deprimente sta cosa
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Mi è piaciuto davvero tanto, anche per come è scritto, è proprio il mio genere 😀
Dai, qualche passo in avanti è stato fatto, c’è ancora tantissimo lavoro da fare, ma il confronto tra l’oggi e ieri mi dà speranza per il futuro (anche se potrebbe essere ancora molto lontano) 🤞🏻
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