L’amore ai tempi del colera | Recensione

Poster festival musicale rosa e blu con giungla tropicaleChe non si dica che io non do le giuste chance agli autori che la prima volta non mi hanno convinto. Ho incontrato Gabriel García Márquez con Cent’anni di solitudine, abbiamo avuto un secondo appuntamento con Cronache di una morte annunciata e con L’amore ai tempi del colera ho decretato che per ora la nostra frequentazione termina qui.

Quest’ultimo è per la verità un romanzo strano: il problema non è il surrealismo magico, e neanche la scrittura, tra le migliori che esistono, lo riconosco; ma con la storia e i personaggi non ci siamo proprio. Avrei saltato a piè pari le pagine dedicate a Florentino Ariza, mentre la metà del libro animata da Fermina Daza ha ottenuto la mia approvazione.

Premessa: cerco di fare sempre recensioni senza spoiler, ma in questo caso è stato necessario fornire più dettagli del solito per farvi capire cosa ne penso. Non dovrebbero compromettere il piacere della lettura e della scoperta, c’è tantissimo che non dico, ma nel dubbio preferisco avvisare.

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Iniziamo contestualizzando un po’ il tutto. L’opera si apre con la morte di un anziano tramite inalazione volontaria di cianuro d’oro, perché non voleva superare i 60 anni e vivere la vecchiaia con tutte le problematicità che ne derivano. Al medico che va a certificarne la morte, l’odore del cianuro ricorda gli amori incontrastati. Vengono così presentati i due temi principali del romanzo: la vecchiaia (a cui si associa anche la morte incombente) e l’amore.

Il medico è Juvenal Urbino, marito di Fermina Daza, che però sparisce presto di scena nonostante l’autore lo renda il principale protagonista delle prime pagine. Ma insomma, le esigente di trama vogliono così. Terminati i suoi funerali, Florentino si presenta alla porta di Fermina affermando di averla aspettata per più di 50 anni e chiedendole una seconda possibilità. Da qui parte il flashback che ci racconta in parallelo le vite di questo uomo e questa donna. Un modo per indagare diversi possibili tipi di amore. Bellissima idea, su questo non ci sono dubbi.

Iniziamo con l’amore giovanile tra Fermina e Florentino, più un’infatuazione alimentata da un’immaginazione suggestionabile, serenate e scambi di lettere, senza che i due abbiano davvero modo di incontrarsi e parlarsi. Ma vengono ostacolati dal padre di Fermina e la ragazza alla fine cambia idea.

Segue l’amore più convenzionale, quasi di facciata, tra Fermina e Juvenal. Manca la travolgente passione e si incentra più sull’acquisizione di una certa posizione sociale, ma mostra anche il nascere di una tenera complicità tipica di chi condivide la quotidianità, tra scaramucce, piccole manie, abitudini irrinunciabili e gesti d’affetto.

Con Florentino invece si esplorano l’amore platonico e l’amore carnale. Quella platonico è ovviamente l’amore nutrito per 50 anni nei confronti di Fermina, che rimane sempre nei suoi pensieri e viene quasi considerata una musa, un essere superiore al genere umano. Ma accanto a lei si stagliano tutte le altre donne, tantissime donne, che condividono il letto di Florentino. Da una parte, questi incontri passionali hanno un bel risvolto, nel senso che non sono intralciati da pregiudizi razziali o di ceto sociale: Florentino considera le sue amanti semplicemente donne e per il periodo in cui stanno insieme le venera totalmente (facciamo però finta di non notare alcuni casi limite).

Infine, senza troppi spoiler, abbiamo l’amore senile tra Florentino e Fermina ritrovatisi, un momento della vita e una possibilità di amare che viene sempre dimenticata e qui viene narrata con grande delicatezza, senza però edulcorarla, il che la rende quasi più poetica.

E fosse solo così uno dice ok, tutto bene, bellissima storia. C’è solo un particolare che (mi) rovina tutto. Florentino è essenzialmente uno stalker ossessionato da Fermina: la segue sempre da lontano nelle sue apparizioni pubbliche, le sottrae un ritratto fotografico, si considera puro nei suoi confronti perché tutte le altre frequentazioni stanno essenzialmente su un altro piano che non influisce sulla realtà del suo amore per Fermina (cioè? spiegami perché non ho capito).

E io qui non ce la faccio. Sarebbe bastato poco per rendermi cara questa storia d’attesa. Mi immagino un Florentino che accetta il rifiuto di Fermina, che impara ad andare avanti nella propria vita SENZA essere perseguitato dai sentimenti che è convinto di provare per la donna, considerandola semplicemente un dolce ricordo giovanile. E poi osservare come i fili del destino li facciano CASUALMENTE rincontrare a 50 anni di distanza: a quel punto si riscoprono (o addirittura scoprono per la prima volta visto che nell’adolescenza vivevano solo di sogni e fantasie) e vivono la loro vecchiaia felici e contenti.

Non era così difficile, no? O dipende tutto da una cultura ed epoca diversa? Eppure sono più che abituata a leggere romanzi ben poco contemporanei, ma non ho mai avuto questo tipo di problema. Boh, la grande verità è che non me ne importava davvero nulla di leggere di tutte le conquiste di Florentino.

Insomma, dare un giudizio a questo libro per me è molto difficile. Anche la recensione pubblicata su Il mal di leggere ha messo in rilievo molte dissonanze, in modo molto ironico e divertente.

A pensarci, forse dei tre che ho citato all’inizio è comunque il romanzo che mi è piaciuto di più finora, però al momento non credo abbia senso proseguire in questa direzione, altri e altre autori e autrici aspettano solo il loro momento.

Altre opinioni in merito sono ovviamente ben accette!

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L’età dell’innocenza | Recensione

Copertina Facebook arancione e blu navy con citazione per fitness uomo sportivoNella settimana in cui si celebra la Giornata internazionale della donna, mi sembrava giusto portare la recensione di un romanzo nato dalla penna di Edith Wharton. Scrittrice e poetessa statunitense di inizio ‘900, famosa per le sue opere femministe, con L’età dell’innocenza è stata la prima donna a vincere il premio Pulitzer per la narrativa nel 1921.

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Sharon e mia suocera | Recensione

SharonCon la recensione di oggi torniamo un po’ indietro nel tempo. Infatti ho letto Sharon e mia suocera: se questa è vita di Suad Amiry nel 2021 (dopo averlo scovato nel blog di Squittii tra le pagine) e per questo motivo non è comparso nel recap letture 2022. Ma la bozza giaceva in Word già da tempo immemore e finalmente le faccio vedere la luce. Continua a leggere “Sharon e mia suocera | Recensione”

I Viceré | Recensione

Palazzo Biscari a Catania
Palazzo Biscari a Catania. Fonte: https://www.palazzobiscari.it/it/

Una cosa di cui mi rendo conto, e di cui mi spiace, è che tendo a leggere molta più letteratura estera, tralasciando un po’ quella italiana. Ma io vado dove mi porta il vento (cioè le trame/il modo di scrivere che mi colpiscono) e non lo faccio per discriminare. Però quando ho tra le mani il libro di qualche connazionale, come I Viceré di Federico de Roberto, ne sono molto felice.

Ne Il gattopardo, Tancredi diventa portavoce di un’ideologia diventata emblema di un momento storico ben preciso. Ma la celeberrima frase “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” forse non sarebbe mai esistita se mezzo secolo prima De Roberto non avesse scritto questo immenso romanzo (nel senso anche fisico, ha circa 700 pagine). Una vera e propria denuncia con cui l’intellettuale siciliano, che soffriva nel vedere la sua terra maltrattata, voleva risvegliare la coscienza di una (nuova) classe dirigente assente, rimuovere la patina dorata dai grandi ideali risorgimentali che avevano portato all’unità d’Italia e mostrare come la storia si ripeteva sempre uguale a se stessa: i deboli da una parte, senza diritti, e i padroni dall’altra a fare quello che avevano sempre fatto.

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Ho trovato il romanzo quasi teatrale. Continuo a figurarmelo come un susseguirsi di scene su un grande palco, animato dall’andirivieni dei personaggi, ben 21 solo quelli principali, contraddistinti da un agitarsi fine a se stesso. Unica grande protagonista è l’intera famiglia Uzeda di Francalanza, che da secoli può vantare il titolo di Viceré della corona borbonica. Una famiglia dove l’amore e l’affetto non si sa cosa siano e dove conta solo il denaro e l’ascesa al potere. D’altra parte non può andare troppo diversamente se il rispetto della tradizione prevede di mantenere il patrimonio integro, e che quindi solo il primogenito possa sposarsi. Gli altri figli maschi finiscono in convento o rimangono cadetti, cercando di fare carriera nell’esercito o in politica. Per le donne le alternative sono la vita religiosa, matrimoni combinati o vita da nubile, senza autonoma possibilità di scelta.

Il primo capitolo si apre con un evento che metterà non poca zizzania tra i vari membri, ovvero la morte della Principessa Teresa, abbastanza odiata in vita e ancor di più dopo la morte perché le disposizioni sull’eredità non soddisfano nessuno. Diventa una specie di gioco di tutti contro tutti e tutti contro Giacomo, il Principe ereditario, con alleanze che si creano e si disfano continuamente a seconda della situazione più vantaggiosa.

Ma se si odiano, cosa ci fanno sempre insieme? È il nome di Uzeda a unirli, la consapevolezza di far parte di una razza superiore. Per quanti screzi ci possano essere, loro rimangono i Viceré. Nessuno vuole rinunciare al riconoscimento del titolo, tra di loro si comprendono e litigano proprio per il fatto di essere uguali. La forza di questo nome si vede tutta quando si stringono a fare muro contro coloro che mai verranno considerati parte della famiglia. L’avvocato Benedetto Giulente riesce a mettere un piede nella nobiltà, ma è poco più che tollerato perché permette di avere un’ancora nel nuovo mondo liberale che sta sorgendo. Molto peggio va a Matilde Palmi, completamente innamorata del marito Raimondo nonostante il trattamento che le riserva. La famiglia la ostracizza, la rende invisibile. La sua colpa? Aver sposato Raimondo, secondo le volontà della Principessa Teresa che stravedeva per questo figlio, e quindi rubare parte dell’eredità che sarebbe toccata solo a Giacomo.

Consalvo e Teresina sono gli ultimi della catena. Per quanto riguarda la ragazza, non vi dico l’odio profondo provato verso i suoi aguzzini che sono riusciti ad annullare autostima e volontà nella giovane. A causa del lavaggio del cervello subito fin da piccola, ora il suo unico scopo è compiacere gli altri, anche a scapito della propria felicità. Non a caso viene spesso paragonata all’omonima Santa della famiglia.

Consalvo invece è figlio dei tempi che cambiano. Con l’arrivo di Garibaldi, la famiglia aveva capito che per mantenere i propri privilegi la cosa migliore era sostenere la rivoluzione liberale, in modo da poterla controllare dall’interno. Il duca d’Oragua si butta in politica ed entra facilmente in Parlamento. Ma l’interesse verso il futuro del Paese è inesistente e infatti il suo motto personale “Ora che l’Italia è fatta, dobbiamo fare gli affari nostri”. Senza fare troppi spoiler, Consalvo trova allo stesso modo nella politica una specie di riscatto personale. Si accorge che fuori da Catania e soprattutto nel resto d’Europa il nome di Uzeda e il titolo di Viceré ormai non contano più niente, e che l’unico modo per essere il primo tra i primi è arrivare a governare direttamente l’Italia. D’altra parte, come aveva detto saggiamente Giacomo al figlio piccolo, confuso da quello che all’epoca gli sembrava un tradimento delle proprie nobili origini: quando c’era il re, gli Uzeda erano Viceré; ora che c’è il parlamento, gli Uzeda fanno i deputati.

La scrittura è davvero potente, molto ironica, in grado di mettere in luce la natura più grottesca della famiglia e dei singoli personaggi. Il linguaggio forse può risultare un po’ desueto e di più difficile comprensione, a tratti pomposo a voler mimare l’alta considerazione di sé che hanno gli Uzeda, ma solo in alcuni passaggi, perché l’altra grande forza del romanzo sono i dialoghi. Però sì, tendevo a perdermi un po’ nei passaggi più politici. Certamente non è un mattone leggero, avevo provato a leggerlo in treno e poi in spiaggia, ma facevo fatica a seguire il filo del discorso. Ma non fatevi scoraggiare, buttatevi e non ve ne pentirete.

Per non dimenticare #2

Progetto senza titoloData l’importante ricorrenza di pochi giorni fa, approfitto dell’articolo di oggi per suggerire di nuovo qualche titolo attinente alla Giornata della memoria. Continuare a ricordare è sempre più importante, soprattutto se pensiamo che sono sempre meno le vittime sopravvissute ancora in vita, e che diventerà quindi sempre più difficile udire le loro testimonianze dirette. Tocca a noi tenere viva la loro eredità.

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